Look at me!, giocattoli per bambini con disabilità

LAM!-Look at me! (“Guardami”) è l’azienda tutta italiana- per la precisione, di Gorizia- che realizzerà giocattoli sia per bambini normodotati che con disabilità. Look at me! è però anche la mission di Anna Devecchi e Giovanna Culot, le due giovani fondatrici, legato alle difficoltà e alla scarsa integrazione  che spesso le famiglie di persone con disabilità si ritrovano, loro malgrado, a sperimentare, anche riguardo ai giochi.   “L’idea parte da Anna, designer industriale, con specializzazione in Toy Design presso il Corso di Alta Formazione al Politecnico di Milano, che nota la carenza di giocattoli studiati secondo il principio del ‘design for all’, ovvero di prodotti progettati con la peculiarità di essere fruibili contestualmente da bambini cosiddetti normodotati e da bambini con disabilità” raccontano. “Al momento esistono per la seconda categoria molti ausili terapeutici o giocattoli riadattati dalle cliniche o dalle famiglie, ma non giocattoli progettati con lo scopo a cui miriamo noi, per permettere che l’azione ludica favorisca l’integrazione e quindi anche il superamento di barriere culturali legati alla disabilità infantile. Il contatto con alcune famiglie conferma l’inadeguatezza di molti prodotti esistenti sul mercato e la loro necessità di avere accesso a prodotti più adatti alle esigenze dei loro bimbi speciali e anche economicamente abbordabili.

Lo scorso giugno LAM! ha vinto il primo premio di 12.000 euro al contest FVG LABOR promosso dall’UPI in Friuli Venezia Giulia, e da startup è diventata una srl a settembre. Il progetto, però, si era concretizzato già da febbraio, quando il team- inizialmente formato anche da Manuela Iob, che non prende parte alla costituzione della srl per motivi strettamente personali- decide di partecipare al bando della regione, viene selezionato e frequenta una Academy di tre mesi e lezioni sul come ” creare un’impresa di successo”.  Un periodo molto intenso in cui viene sviluppata l’idea. “Il lavoro viene diviso in diverse fasi di attuazione. In prima battuta giocattoli tradizionali per la fascia 0-3 anni, contestualmente studio di giocattoli tecnologici per la fascia 4-15 e studio per la progettazione di spazi museali o ricreativi per bambini.” spiega Devecchi. “LAM! trova partner istituzionali (patrocinio della Consulta Disabili FVG) e partner scientifici (SMILE -Stella Maris Infant Lab for Early intervention- dell’IRCCS Stella Maris di Pisa e il Centro di Neuroftalmologia dell’età evolutiva della S.C. di Neuropsichiatria Infantile -I.R.C.C.S. Fondazione Istituto Neurologico Nazionale C.Mondino, Pavia) che a loro volta creano una cordata scientifica che si sta espandendo anche in territorio europeo: saranno indispensabili per la ricerca legata alla progettazione di questi giocattoli. Non si possono improvvisare prodotti destinati a un pubblico come il nostro senza avere alle spalle una fase molto articolata di ricerca e sviluppo a 360°, dalla parte scientifica a quella relativa alle normative attuali sul mondo del giocattolo e lo studio attento dei competitor e delle esigenze delle famiglie.

Verranno realizzate delle linee di prodotto per la prima infanzia, da 0 a 3 anni, sulla base di giocattoli esistenti modificati secondo il principio del “design for all” ma anche oggetti totalmente nuovi. Ora il team sta lavorando sulla parte della fascia “+4 anni” per i giocattoli tecnologici e per la progettazione di spazi museali e didattici. Il contatto avuto con le famiglie di bambini con disabilità ha aiutato molto l’idea delle due imprenditrici, e il fine della loro azienda non si esaurisce con la produzione di giocattoli. “Stiamo parallelamente fondando un’associazione che si occuperà di dialogare con le famiglie di bambini disabili sul territorio nazionale e contestualmente organizzare degli eventi mirati all’attività ludica tra bimbi disabili e coetanei con sviluppo tipico. Crediamo infatti che solo facendo giocare assieme questi bambini si possa abbattere quel muro di chiusura culturale che spesso impedisce la loro integrazione. Il gioco è lo strumento migliore per aiutare fin dall’infanzia a capire che non esistono differenze reali, ma sono situazioni differenti da quella definita ‘normale’ che vanno comprese e supportate ” racconta Devecchi.

Cosa pensano le due imprenditrici della situazione delle persone con disabilità in Italia? “Naturalmente facciamo una distinzione tra la disabilità infantile e quella adulta. Nel secondo caso ci sono mille tematiche che andrebbero analizzate come l’occupazione, l’inserimento in contesti sociali, la sessualità, le barriere architettoniche, ecc. Sono tutti temi fondamentali ma al momento lontani dalla nostra sfera, in quanto operando a contatto con i bambini si presentano problematiche decisamente differenti” sottolinea Devecchi. “Chi scopre di avere un bambino con una qualche difficoltà motoria, cognitiva, sensoriale, ecc abbiamo constatato che prova innanzitutto un senso profondo di solitudine e smarrimento, una sorta di estraneazione dal mondo reale, riassunto nella famosa frase ‘Ma come mai è capitato proprio a noi?’. Poi avviene la presa di coscienza, non sempre, ma se seguiti familiari e bambini da un team esperto di psicologi e figure professionali che affiancano il nucleo, si può aiutare queste persone a reagire alla malattia e affrontarla con coraggio. Abbiamo visto bambini sorridenti accanto a nonni e genitori forti, pieni di entusiasmo per la vita e desiderosi di rendere i loro bimbi il più autonomi possibile.”

La disabilità infantile è ritenuto un tema ancora poco discusso e non affrontato, a volte, in modo adeguato. “Non ci deve essere la volontà di escludere o “ghettizzare” ma devono predominare i concetti di inclusione e integrazione. Niente spot o messaggi pubblicitari a nostro avviso che muovano alla mera compassione senza una tangibile reazione da parte della comunità e delle istituzioni per attivarsi al cambiamento e al miglioramento dello stile di vita di questi bambini e delle loro famiglie. La gente che non è in contatto con queste realtà spesso ne ha quasi paura, teme un confronto, non sa come comportarsi e quindi adotta la strategia del ‘non guardare il disabile perché ‘non è educato e non sta bene’. Questo insegnamento che ci viene dato da bambini davanti a ciò che è ‘diverso’ da noi, ha portato alla chiusura mentale per anni verso la malattia e la sua accettazione e la conseguente e naturale chiusura delle famiglie con bimbi disabili verso il mondo esterno. Questo nel migliore dei casi. Nel peggiore, i bambini cresciuti con questa scarsa consapevolezza della diversità, hanno invece maturato una forma di rabbia o di derisione e da qui i deplorevoli episodi a cui troppo spesso assistiamo durante i telegiornali di forme di violenza durante l’adolescenza ai danni di ragazzini disabili. Da qui la nostra idea e la nostra mission, “LOOK AT ME!” quindi “GUARDAMI!” ci sono anch’io, non distogliere lo sguardo ma assieme troviamo un modo per risolvere i problemi e crescere insieme, con le stesse opportunità. 

“Ai bambini va insegnato attraverso la forma a loro più congeniale e naturale, il gioco, come non ci siano barriere reali tra loro e gli altri coetanei, disabili o semplicemente più deboli o ‘diversi’ da lorocontinua la fondatrice di LAM! “Il nostro sito si apre con la frase di Bruno Munari, «Non potendo cambiare gli adulti, ho scelto di lavorare sui bambini perché ne crescano di migliori. E’ una strategia rivoluzionaria quella di lavorare sui e con i bambini  come futuri uomini» . Questo è anche il nostro approccio. Solo bambini che con naturalezza accetteranno la condivisione di spazi, attività, giocattoli, con altri bambini disabili, vivranno la disabilità come uno stato naturale delle cose, una delle varie sfaccettature della vita.”

Una consapevolezza che per Anna Devecchi arriva anche da un’esperienza personale.  Mia figlia di quattro anni e mezzo, al centro estivo, aveva un bambino del suo corso sulla sedia a rotelle. Ovviamente non ha ancora la percezione della patologia e non si è nemmeno posta il problema del perché il bimbo fosse ‘diverso’ dagli altri. Appena arrivata a casa mi dice: ‘Sai, mamma, oggi eravamo in cortile e c’era un nuovo amico ma non ha corso con noi perché stava seduto tutto il tempo su una strana seggiolina con le ruote.’ E io le ho chiesto: ‘Ma oltre a correre avrete fatto qualche altro gioco, no? E lui che ha fatto, ha giocato?’ ‘Abbiamo giocato a nascondino! Rideva, mamma, rideva come un pazzo! Noi correvamo e poi ci nascondevamo e lui da lontano ci doveva trovare! Ci ha trovati tutti! Era bravissimo!’ Lei ha visto in lui solo un abile giocatore di nascondino. I bambini sono così. E mentre lei me lo raccontava ho riso con lei, del suo entusiasmo e di quello che spero in futuro rimanga impresso in lei in maniera indelebile, questa stessa apertura alla vita che possiede adesso. “

La disabilità non è uno stigma, bensì espressione di coraggio e amore: è ora di insegnare ai bambini a non avere barriere, perché la diversità è arricchimento, è opportunità, è comprendere i veri valori della vita.

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