Lavorare all’estero: il futuro in valigia
L’avevamo lasciato in Sudafrica, con un sito in crescita, cinquemila “like” sulla pagina Facebook e il desiderio di aiutare i ragazzi italiani a trasferirsi all’estero. Dalla nostra prima intervista sono trascorsi quasi due anni e si sono aggiunti quindicimila fan. Stefano Piergiovanni, fondatore del sito viviallestero.com, ora vive tra l’Italia (dove spesso tiene seminari sull’argomento) Londra e l’Irlanda, e ci racconta un mondo in fermento e in cambiamento. “Mi sono concentrato nell’ aiutare in maniera più diretta le persone che vogliono trasferirsi all’estero” sottolinea. “Ho scritto un ebook, “Come trovare lavoro all’estero” ,dove offro informazioni base per cercare un’occupazione e offro un’infarinatura generale per chi vuole compiere questo ‘grande passo’ che sta diventando quasi obbligatorio per diverse persone. In molti hanno trovato lavoro grazie ai miei servizi, tra cui un ragazzo che inizierà l’8 gennaio la sua avventura in Kazakistan. È una grande soddisfazione per me quando una persona è disoccupata in Italia ma riesce a trovare un impiego altrove.”
Passione ed esperienza diventate lavoro per un’esigenza sempre più marcata e, in alcuni casi, inevitabile, mentre i dati relativi all’anno 2013 rilasciati dall’Aire-Anagrafe Italiani residenti all’estero- raccontano di quasi 100.000 espatriati: il 19,2% in più rispetto al 2012. “Gli utenti del sito sono aumentati- quelli iscritti sono circa trentaquattromila- e da quando è nato ad ora è cambiato il target: se prima mi contattavano persone con un profilo più vicino al mio, ossia che desideravano andare all’ estero per il piacere di farlo, ora mi contattano sempre più persone che devono obbligatoriamente trasferirsi perché qui non riescono a trovare nulla” racconta Stefano Piergiovanni. ” Aiutare queste persone è più difficile: non avevano progettato niente del genere, e spesso sono ignare di cosa le aspetta, come per esempio condividere la casa con un asiatico, o uno svedese, con tutto ciò che questo comporta a causa delle differenze culturali o nella gestione degli spazi“. Ma qual è il profilo più richiesto? “Se avessi un figlio di 14 anni che dovesse decidere cosa studiare, consiglierei la scuola alberghiera: nella cucina, associando le capacità a un buon inglese, trovi lavoro ovunque e anche ben pagato. Essere italiano in questo campo è un valore aggiunto. Inoltre una figura che va per la maggiore è quella dell’infermiere, soprattutto in Irlanda e Gran Bretagna. Al momento ne cercano quaranta: tre ragazze italiane hanno già trovato lavoro tramite il mio sito, una a Bristol e due a Manchester”.
Spesso decidere di impacchettare la propria vita e acquistare un biglietto di sola andata è legata al progetto di una famiglia: per quelle di origine che si lasciano, ce n’è un’altra che si desidera far nascere. Infatti, sottolinea il fondatore di viviallestero.com, quello del lavoro è un problema non solo per i disoccupati, ma anche per gli occupati con contratti a termine o precari: sono molte le coppie che si rivolgono a lui nel momento in cui si rendono conto che l’aspetto professionale della propria vita non dà certezze per quello personale. Ma non sono gli unici a rincorrere un futuro che sembra sempre sfuggire di mano. “Oggi ho risposto a una mail di un sessantenne” aggiunge Stefano. “Nessuno ne parla, ma a questa età è difficile trovare lavoro in Italia, difficile trovarlo all’ estero, e mancano ancora 10 anni alla pensione. È anche complesso imparare qualcosa di nuovo a 60 anni.” Paradossalmente sono i ragazzi dai 18 ai 25 anni che richiedono meno il suo aiuto. “Per loro ci sarebbero moltissime possibilità, e anche senza i requisiti giusti, avrebbero più facilità ad imparare o anche a sbagliare: farlo a 20 anni non è farlo a 40. La situazione non è semplice e non è un gioco: quando si affacciano al mondo del lavoro italiano iniziano a comprendere che ci sono pochissime strade aperte e si rischia di ritrovarsi con un lavoro che non piace, sottopagato, con un contratto che non dà sicurezze, ma forse non ne hanno ancora piena consapevolezza. Se lavori, ma comunque non sei soddisfatto, devi stare zitto, tenerti il tuo posto e ringraziare perché ce l’hai , inevitabilmente vivi male, e non è giusto.”
Seguire la propria strada non è affatto semplice, figuriamoci trovarla. Eppure le possibilità possono percorrere anche migliaia di chilometri. “Allargare gli orizzonti è aprirti opportunità. Non si sta firmando una partenza senza ritorno, si può imparare una lingua e fare un’esperienza che può essere utile anche poi per tornare in Italia. Non siamo più negli anni ’50: ora con skype, con le compagnie low cost, le barriere sono perlopiù mentali, perché a livello pratico o fisico non esistono più. Allora, perché non partire? “
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