Karalò, una sartoria per il futuro

Scorgo nei loro occhi orgoglio ed entusiasmo, mentre mi presentano le loro creazioni. Mi mostrano il loro laboratorio, invitandomi ad andare a trovarli in occasione di un mercatino. Non parlano ancora bene l’italiano ma non importa: non c’è bisogno di parole.

La storia di Mohammed, Adama, Malang e Muyeh racconta un futuro che si può costruire a piccoli passi, ogni volta che si siedono alle loro macchine da cucire che, nonostante tradiscano il peso del tempo, continuano svolgere il proprio lavoro, permettendo ai ragazzi di dare forma alla loro creatività. Camicie, borse, portasigarette, portafogli: finché ci sono i tessuti, si va avanti. Il loro progetto si chiama ‘Karalò’, ossia ‘sarto’ in mandingo, ed è ospitato nel centro di accoglienza di via Tiburtina a Roma, all’interno di un programma Sprar – Sistema Per Richiedenti Asilo e Rifugiati- gestito dalla cooperativa Eta Beta.

Questa iniziativa è nata un po’ per caso e un po’ per gioco” racconta Luigi Roberto, responsabile del centro. “In uno dei tanti colloqui che gli operatori hanno avuto con i ragazzi  è emersa l’ esigenza di far riprendere loro il lavoro che svolgevano nelle loro terre d’origine. Mohammed, per esempio, era un tappezziere: l’abbiamo iscritto ad  un corso di taglio e cucito base, suscitando la curiosità di altri ragazzi, che hanno voluto intraprendere lo stesso cammino.”  Un quinto ‘karalò’ è arrivato da poco al centro e sta imparando il mestiere. “All’inizio avevamo una sola macchina da cucire, poi ce n’è stata donata un’altra e con un piccolo investimento della cooperativa abbiamo comprato i tessuti. Le prime realizzazioni sono state delle borse“. Le creazioni diventano con il tempo sempre più precise e i quattro ragazzi riescono a partecipare ai loro primi mercatini. Iniziano ad essere notati, così gli operatori si impegnano a cercarne altri e li iscrivono all’associazione Terra Terra, che organizza mercatini per piccoli produttori e artigiani una volta al mese. Una parte dei proventi viene lasciata ai ragazzi, mentre il resto viene investito per l’acquisto di stoffe e ciò di cui necessitano per la realizzazione dei vestiti e degli accessori; la cooperativa contribuisce con una quota mensile, ma molto arriva da donazioni di materiali riciclati, come abiti usati, tende, borse.

Il laboratorio è in attività da gennaio e sta iniziando a fare un po’ di rumore a livello istituzionale: per noi è motivo di grande soddisfazione” spiega Luigi Roberto. “I ‘karalò’ si divertono molto a fare i mercatini e in questo modo intraprendono un percorso di autonomia. È un primo passo verso la costruzione del loro futuro: facciamo conoscere loro le varie realtà di Roma e li spingiamo all’ integrazioneDobbiamo investire il nostro e il loro tempo, e questo è senz’altro un buon investimento. Loro sono felici e lo siamo anche noi. Stiamo cercando di attivare altre iniziative, sebbene i fondi che abbiamo non siano immensi  e  purtroppo non ci permettano di pensare in grande.

Prima di andare via, Mohammed mi dona un bigliettino: c’è scritto ‘Grazie per aver sostenuto il nostro piccolo progetto Karalò! Seguici su Facebook: Karalò Roma e ai prossimi mercati!’. Lo custodisco come dimostrazione che ricominciare si può ed è una prerogativa che tutti devono poter avere.

Articolo pubblicato su Pronews

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