Frutta Urbana: buona, gratis e a km zero
Avocado, mele, pere, banane, fichi, albicocche e agrumi: la varietà di frutta che è possibile trovare nei giardini, nei cortili e nei vari spazi pubblici di Roma è molto ampia. Una risorsa gratuita che il progetto Frutta Urbana, attivo non solo nella capitale ma anche a Milano, promosso dall’Associazione Linaria– creata per diffondere la cultura del giardino, del paesaggio e dell’ambiente in ambito urbano- ha deciso di mappare, scoprendo che non solo è molto buona, ma può essere usata per scopi sociali, evitando gli sprechi e mantenendo la città pulita.
“Il progetto è nato due anni fa e si è sviluppato subito sull’ idea di mappatura” racconta Michela Pasquali, responsabile del gruppo di Roma. “Tutto è stato reso possibile anche grazie al sostegno di Roma Altruista, organizzazione che mette in contatto chi vuole svolgere volontariato con le varie associazioni“. La mappa di Frutta Urbana riporta l’esatta collocazione di tutti gli alberi che vengono identificati nelle varie zone della città, diventando uno strumento pubblico, continuamente aggiornato e accessibile a tutti sia per condividere le informazioni con chi è interessato alla raccolta della frutta, che per coinvolgere i cittadini all’identificazione di nuovi alberi. “La frutta si può mangiare: non è concimata chimicamente, ha solo l’inquinamento urbano che può essere lavato via perché si deposita sulla buccia. Dalle analisi effettuate nei paesi europei ed extra-europei dove questi progetti sono già in fase molto avanzata, la frutta risulta buona, senza problemi. Quelle che abbiamo potuto fare noi hanno evidenziato gli stessi risultati: probabilmente la frutta che si compra al supermercato è molto di più inquinata.”
Una volta raccolta, questa frutta dove finisce? “Viene regalata ad una casa per anziani, alla Caritas, a diversi banchi alimentari e a qualche mensa sociale” spiega Michela Pasquali. Un’altra piccola parte viene invece venduta e inserita in diversi circuiti alimentari come i GAS, i mercati contadini o ristoranti e negozi che lavorano con prodotti locali e di filiera corta; oppure lavorata per creare marmellate, succhi e liquori, in modo da rendere il progetto sostenibile. Ma non solo: con le arance amare sono stati realizzati anche dei laboratori. Alcuni ragazzi con disabilità dell’associazione Capodarco hanno potuto preparare le scorze candite, mentre un gruppo di donne afghane senza lavoro, in collaborazione con l’associazione La Sosta, hanno confezionato delle marmellate da vendere. “Negli ultimi mesi mi sono concentrata sull’elaborazione di laboratori, per provare a vedere se si possono farne delle nuove professioni” conclude la Pasquali. La frutta diventa così una grande ricchezza sociale, che cresce con i ritmi della natura a due passi da casa.
Articolo pubblicato su ProNews
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