Una coppia davvero felice litiga. I consigli per farlo bene nel libro “Meglio dirsele”

I conflitti aiutano la vita a due e sono necessari per il benessere e la riuscita del rapporto: potrebbe essere questo l’elisir di lunga vita delle relazioni amorose.

Ne è assolutamente convinto Daniele Novara, pedagogista, consulente e formatore, fondatore del Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti di Piacenza. Il suo ultimo libro, “Meglio dirsele. Imparare a litigare bene per una vita di coppia felice” (Ed. Bur Rizzoli) sfata il mito della coppia che funziona perché sempre in perfetta armonia. Anzi: evitare gli scontri non può che essere controproducente.

Attraverso esempi ed esercizi pratici, percorrendo le varie fasi della vita a due, l’autore dà una serie di suggerimenti per guardare i litigi da un’altra prospettiva, ossia come passi fondamentali per crescere insieme, evolversi e poter dare il meglio di sé.

Com’è nata l’idea di scrivere il libro Meglio dirsele?

Dopo aver scritto i libri su come gestire efficacemente i conflitti fra i bambini “Litigare fa bene” e i conflitti con i figli “Urlare non serve a nulla”, che sono stati entrambi ottimi successi editoriali, ho pensato che potesse essere utile per la vita familiare disporre di una serie di informazioni e orientamenti sulla madre di tutta la conflittualità umana, ossia quella di coppia. Ho scritto pertanto un libro che non è pedagogico, è un libro per tutte le coppie, per quelle che si preparano a convivere e per quelle che convivono, per le coppie consapevoli che il mondo è cambiato, per le coppie consapevoli che fra 30 anni anche il mio libro sarà considerato archeologia antropologica. Stiamo correndo, i tempi sono estremamente accelerati, e il litigio non è più quell’oscura minaccia di cui si sentiva parlare da piccoli quando ci dicevano che c’era pericolo perché i nostri genitori stavano litigando, ma appartiene a uno spazio di necessaria apertura  comunicativa che le nuove generazioni stanno creando, congedandosi dalle vecchie forme ingessate in cui i nostri antenati hanno vissuto le loro relazioni difficili. Nella coppia più che in altri ambiti si nota molto bene la differenza fra  il litigio gestito bene rispetto al litigio gestito male. Più che in altri ambienti è comunque facile cambiare per raggiungere con creatività dei risultati che ci danno sicurezza, piacere, felicità.

Lei afferma che se un litigio è ben gestito contribuisce al successo di una coppia: perché si continua invece a pensare che i litigi siano negativi e vadano limitati?

Ultimamente qualcosa sta cambiando, anche nella percezione comune dei litigi. Però non possiamo dimenticare che siamo cresciuti in una cultura guidata dal mito del volersi bene a tutti i costi: si sta bene insieme solo se non si litiga. Il litigio è sempre stato vissuto come elemento di rottura e di perturbazione della pace e dell’armonia relazionale, qualcosa da prevenire o evitare. L’educazione stessa è sempre andata in questa direzione o proibendo ai bambini di litigare: “Basta litigare! Fate i bravi!” o colpevolizzando i litiganti: “Chi ha cominciato?!? Vai in punizione!”. È difficile oggi liberarci dalla convinzione che litigare sia sbagliato. Solo il litigio in realtà garantisce che due persone riescano a dirsi che qualcosa non sta funzionando nel loro rapporto. Occorre però farlo con competenza. I litigi gestiti male generano frustrazione e spesso sofferenza reciproca.

 In più parti del libro lei affronta il tema dell’infanzia: consiglia di raccontarla al partner, perché è uno dei ‘tasti dolenti’ che porta al conflitto. Secondo lei perché viene così sottovalutata?

In effetti nella mia esperienza professionale trovo che almeno una coppia su due non conosce la reciproca infanzia. Non ci si innamora delle parti strettamente adulte, ci si innamora in larga misura delle parti bambine, questo è già un buon motivo per conoscerle. Ma nel libro l’elemento centrale è che l’intimità riattiva una serie di ferite infantili che definisco tasti dolenti e si riattivano nella coppia con la speranza, se non la pretesa, che il partner le possa sanare. “Se i miei genitori non mi ascoltavano senz’altro la mia compagna mi ascolterà”. “Se i miei genitori davano sempre ragione a mio fratello il mio compagno sarà in grado di mettermi  al centro di tutte le sue attenzioni”. In una certa misura tutto questo è necessario per far scaturire la scintilla dell’incontro e della relazione, ma quando nasce il conflitto, se non si è capaci di gestirlo bene restano solo le emozioni negative dell’infanzia e quindi una serie di recriminazioni reciproche che creano molte frustrazioni.

Una coppia ad ‘alta densità emotiva’ , che cerca di condividere tutto e sempre, non può essere felice: eppure anche in questo caso si tende a guardare con ‘sospetto’ la coppia che ha interessi separati.

Non penso che sia una questione di interessi separati anche se tendenzialmente le coppie tendono a incontrarsi su interessi comuni. Il tema della simbiosi emotiva è di altra natura. In una coppia si possono avere lavori e interessi diversi ma comunque mantenere una propensione simbiotica, ossia una condivisione molto forte dal punto di vista emotivo che può diventare facilmente soffocante. Il mio libro affronta il problema da un altro punto di vista: l’incontro profondo, la comunicazione significativa in una coppia non procede per eliminazione di ogni criticità reciproca alla ricerca di un rispecchiamento totale ma viceversa è la capacità di raccontarsi la vita a partire dai propri punti di partenza senza necessariamente cercare una conferma reciproca. Pertanto comunicare vuol dire anzitutto saper accettare il punto di vista altrui, viverlo come una possibilità di scoperta, viverlo come curiosità, viverlo come un’occasione per aprire nuove porte, senza paura, con tanto coraggio.

Come consiglia di gestire i figli, che rappresentano da sempre uno dei motivi di conflitto nella coppia?

Ho dedicato uno specifico capitolo de libro proprio a questo tema in quanto spesso le coppie vanno in apnea con la nascita dei figli, smettono di fare manutenzione della loro vita sentimentale concentrandosi unicamente su di loro. Molto pericoloso è l’atteggiamento che pretende di creare un’intimità non solo della coppia sentimentale con segnali piuttosto ambigui come quello di baciare sulla bocca i figli quando sono ormai grandi oppure di chiamarli con gli stessi vezzeggiativi affettuosi (tesoro, amore cuoricino…) che si  usano fra i fidanzati. Si crea una promiscuità che invade la tenuta emotiva della coppia in quanto tale. I figli si allargano, dilagano, i confini non vengono più rispettati. Questo non è utile per la loro crescita. La metafora è il lettone che in tante famiglie non è più un luogo di intimità coniugale ma un luogo dove tutti possono passare un po’ di tempo durante la notte. Ribadisco pertanto l’importanza di una condivisione educativa dei figli che sappia anzitutto tutelare la propria coppia, perché hanno bisogno esattamente di questo, di vedere che i genitori sanno fare il gioco di squadra e non si lasciano manipolare dai più piccoli in funzioni di presunte gratificazioni immediate.

Secondo lei c’è un segnale, o un comportamento, che indica che una coppia non funziona più?

Quando non litiga: perché significa che o si è rassegnata o non ha mai imparato a condividere davvero ciò che ciascuno dei due partner vive e prova dentro di sé. Non esiste una relazione vitale in cui sia possibile eliminare la conflittualità e il litigio. Se questo aspetto manca, qualcosa non sta funzionando.

Articolo pubblicato su ProNews

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